Mappe, traiettorie e tesori della compagnia dei Merli Bianchi: il decennale

La Compagnia dei Merli Bianchi di Giulianova, attiva nel sociale e in progetti di impegno civile attraverso il teatro, domenica scorsa ha festeggiato il suo decennale con un evento, “Mappe, traiettorie e tesori” che ha sintetizzato i momenti salienti del suo fecondo percorso culturale. L’anima del gruppo e fondatrice, Margherita Di Marco, ha coniugato il senso di questo importante traguardo con la pubblicazione del suo primo libro di poesie, dal titolo “Dove nasconde gli occhi il cielo” (Arsenio Edizioni), arricchito dalle fotografie di Pasquale Tarquini. Dal 2018 la compagnia teatrale ha sede ne “La Pintica” – Bottega delle arti dei Merli Bianchi (“pintica” nel dialetto locale sta per piccolo laboratorio artigiano).  In omaggio al suo lavoro e al suo impegno resiliente e coraggioso, riproponiamo qui la memoria di uno dei suoi spettacoli più significativi e di successo, “Mafie, Sud e Resistenza”, pubblicata nel numero 21/2011 della rivista Mu6.

“Mafie Sud e Resistenza”: elegia per sole attrici

Mafie, Sud e Resistenza

Spettacolo di rara efficacia, “Mafie Sud e Resistenza” è prodotto dalla Compagnia dei Merli Bianchi in collaborazione con il Teatro Proskenion di Scilla, per la regia di Claudio La Camera. In scena due attrici, Margherita Di Marco e Mariangela Berazzi, note per l’impegno culturale profuso nel teatro ambiente e nel teatro ragazzi, cui, forti di una formazione di ricerca, propongono dimensioni educative di alto profilo, con una speciale capacità di stimolare interessi narrativi duraturi e coinvolgenti.

“Mafie, Sud e Resistenza” è, in primo luogo, teatro di impegno civile, con l’aspirazione manifesta, ma poeticamente orchestrata, di fare avvertire allo spettatore il peso di quel giogo insopportabile e nefasto che è la cultura mafiosa. Lo spettacolo si apre con una lucida denuncia, da parte di una delle protagoniste, sulla corresponsabilità civile del pubblico in quelle forme di condizionamento cui in potenza tutti possiamo aderire ed un’esortazione al rifiuto dei compromessi anche quando questi tocchino il personale interesse.

Tante le suggestioni culturali e drammaturgiche che si percepiscono nello spettacolo, le cui atmosfere rimandano chiari echi di Beckett e Pirandello. Sulla scena le donne, ispirate l’una a Felicia Impastato, madre di Peppino, il giovane barbaramente ucciso dalla Mafia nel 1978, e l’altra, Rita Atria, figlia di un pentito e suicida a soli diciassette anni, rivivono straniate alcuni pezzi delle loro vite, come sospese in una terra di mezzo. Ciascuna porta con sé un fardello di memorie vive e brucianti, materializzato in una quantità di valigie di cartone, che ripetutamente spostano,  svuotano o soltanto aprono per rivelare brandelli di vissuto. Esprimono, dolorosamente, l’anelito verso una qualche  pacificazione dell’anima, come falene intorno ad una luce che pare attrarle dall’alto ma inciampano continuamente nei lacci che le imprigionano al suolo, in una dimensione di farneticante sofferenza.

Aspettano qualcosa. Che arrivi come la scia di un’aereo e le trasporti in un mondo di utopica felicità; ma è un attimo fuggevole che si trasforma subito in disincanto: “Passa e mi regala una scia: come le lumache”, ripete ciclicamente l’una, mentre l’altra intona canti dolenti e affascinanti, immaginandosi fanciulla ridente e sposa. Entrambe a tratti tornano bambine e in quella dimensione di fanciullezza osano il rifiuto, la satira e lo spergiuro di quei “fottutissimi cornuti” che hanno avvelenato le loro vite e quelle di tanti. Il dramma non ha acme né soluzione e le due figure, dopo la recita di un brindisi improbabile, escono di scena e ritornano all’oscurità dalla quale erano emerse, condannate a rivivere il loro dramma all’infinito.

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