Lanciavicchio porta a teatro Fontamara e il grido degli sfruttati di ogni tempo

I volti di Fontamara. Ph. L. Mariani

Emana una forte tensione umana ed etica “Fontamara”, spettacolo del Teatro Lanciavicchio, in questi giorni in tournée nelle sale d’Abruzzo, con la regia di Antonio Silvagni. La drammaturgia porta la firma di Francesco Niccolini, coautore, con Marco Paolini e Gabriele Vacis, del “Racconto del Vajont”, con il quale condivide intenzioni di testimonianza civile e di memoria.

Il fascino dello spettacolo, visto nella rassegna “Teatro Off” di Abruzzo Circuito Spettacolo, è in un allestimento essenziale e raffinato, potente quasi della sola forza della narrazione e di una parola asciutta ed impietosa. Com’era, del resto, nelle intenzioni del regista che nello spettacolo ha racchiuso davvero l’anima del Lanciavicchio e quella vocazione originaria ad un attore “cafone”, volendo con ciò avvalorare un legame identitario d’espressione, di cultura e di territorio.

“Fontamara”, scrive Silvagni nelle note di regia, “E’ uno spettacolo senza pietà. Senza pietà per i cafoni e la loro storia. Senza pietà per gli attori inchiodati sul posto a dar vita a cento vite. Senza pietà per quegli spettatori troppo abituati a ammiccamenti e moine. Senza pietà per i figli dei cafoni di Fontamara e le loro storie d’oggi”. Ma è proprio dall’assenza di compassione che scaturisce il sentimento della partecipazione, della reazione e della rivolta.

Nella scena rituale, in un’oscurità che trasporta nella dimensione del sogno o di una visione, quattro personaggi si stagliano immoti come simulacri, assumendo presenza dai cumuli di terra che ciascuno ha dinnanzi a sé. Stanno seduti, come i vecchi nelle piazze dei nostri paesi d’un tempo. Dalla cintola si dipartono lunghe ed ampie vesti, nere e pesanti che, come radici, sembrano costringerli al suolo, tenerli avvinti a quella stessa terra che li ha generati. Un suolo che inesorabilmente tutto chiama a sé, anche le vecchie sedie fatte calare dall’alto, nella penombra, a evocare altri convenuti, altre presenze. In quel legame fatale con la terra si rivela, del resto, l’essenza dello spettacolo, un doppio della narrazione.

Sono fantasmi e “fantasmi di fantasmi” e sono evocati per testimoniare il dramma di Fontamara e dei suoi abitanti, dando voce ai contadini umiliati e ai loro oppressori e ricomponendo il quadro di una stagione di disumano accanimento dei forti sui deboli che, ben oltre il romanzo, chiama in causa la nostra storia e il nostro oggi. A dare impulso alla narrazione arriva, attraversando la platea, una giovane attrice di colore che si è formata alla scuola del Lanciavicchio. Nella finzione scenica è una discendente dei Fontamaresi ma potrebbe simboleggiare anche un loro correlativo attuale, in un richiamo delicatamente accennato, ma ben presente nelle dichiarazioni della compagnia, alla attualità di analoghe gravi forme di sfruttamento dei “cafoni” d’oggi, quasi tutti nordafricani, massicciamente impiegati nella fertile piana del Fucino.

La fanciulla veste attuali abiti di ragazzo ed assume le funzioni del narratore, o del testimone di un necessario processo alla storia in un tribunale tragico della memoria. I fantasmi pirandellianamente agognano a una presenza, a un’espressione; chiedono di narrare gli immani torti subiti, da cafoni, dediti solo alla terra, umiliati e reietti. Moltiplicando i ruoli, danno vita a una coinvolgente partitura di testimonianze che talvolta assumono la coloritura del dialetto.

I valori di memoria e testimonianza all’interno di una costruzione teatrale ineccepibile ha fruttato allo spettacolo del Lanciavicchio il Premio Cervi  al 18° Festival Teatrale di Resistenza. Coprodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con il Centro Studi Ignazio Silone, il Comune di Pescina e il Comune di Avezzano, ne sono interpreti Angie Cabrera, Stefania Evandro – direttrice artistica del Lanciavicchio – Alberto Santucci, Rita Scognamiglio e Giacomo Vallozza. Le musiche originali sono di Giuseppe Morgante, le luci di Corrado Rea, scenografia e costumi di Scenotecnica “Ivan Medici”.

Grazia Felli

Facebooktwittergoogle_plus

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.