Tributi/Judith Malina

Judith Malina, con l’attrice Mary Mary, NYC, Central Park, 1991

Kiel, 4 giugno 1926 – Englewood, 10 aprile 2015.

Attrice, autrice, regista, anima del Living Theatre, la più influente donna di teatro di tutti i tempi, per quanti l’abbiano incontrata, nella vita o sulle scene, è stata un faro. La conobbi, insieme al suo compagno Hanon Reznikov all’Aquila, nel 1990, grazie a Serena Urbani, al termine della replica di The Tablets, porgendole emozionata un mio lavoro sull’esperienza europea della compagnia con cui mi ero appena laureata.
A quel breve incontro seguì un’intensa frequentazione. Grazie a una borsa di studio per un perfezionamento post lauream ho trascorso un lungo periodo a New York, tra il 1991 e 1994, frequentando tra l’altro l’archivio del Living, nell’appartamento sulla West End Avenue che era stato la casa di Julian Beck e dove al mattino per diversi mesi mi recavo silenziosamente, muovendomi in piena autonomia, grazie alla straordinaria disponibilità di Ilion Troya, che vi abitava, e dello stesso Hanon. Judith la incrociavo raramente, in quelle mattinate, che trascorreva nella sua stanza a scrivere; la vedevo invece al lavoro durante le prove pomeridiane al Living Theatre, sulla East Third Street, dove arrivava in auto, teneramente accompagnata da Hanon. Da allora, ho avuto il privilegio di vivere innumerevoli momenti creativi, pubblici e privati, della compagnia: dalle prove di “Waste” e di “Mysteries and Smaller Pieces” alla celebrazione del Passover Seder nella casa di George Barteneieff e Crystal Field, dalle prove al Theater for the new City, dopo la chiusura del teatro sulla Terza Strada, alla preparazione del Benefit per la celebrazione del Quarantennale della compagnia, alla Great Hall di Cooper Union, fino ai passaggi della compagnia all’Aquila e a Popoli, da me facilitati.

Nella mia esperienza, in particolare all’epoca dell’allestimento di Waste, le cui prove ho

Una dedica di Judith Malina

seguito interamente, Judith è stata motivo di conoscenza e stupore continuo. Se il suo carisma era evidente, sentito, altrettanto lo era il suo rispetto delle individualità che orchestrava con sapienza e capacità di visione. Il suo modo di lavorare con gli attori tale da lasciare il massimo della libertà: “Trovate da soli ciò che serve, il modo di consolidare e organizzare il vostro lavoro”. E se noia e stanchezza, a causa della estrema eterogeneità del gruppo, fatto per lo più di attori non professionali, davano luogo a eccessi di nervosismo, eccola suggerire che “la rabbia è un sentimento di annichilimento, contrario alla creazione”.
Vale ciò che di lei dice Gianfranco Mantegna: “Oggi Julian sarebbbe ancora lì come uno straordinario attore, come un eccezionale scenografo, avrebbe disegnato spettacoli e costumi, fatto le luci e collaborato alla regia dello spettacolo. Però è Judith quella che ha sempre fatto il lavoro spiccio di regista e sarebbe stata lì per giorni con il copione in mano, a dirigere le prove o a darti le tue note, individuali o di gruppo. Come regista è stata sempre stata lei la guida ed in questo le riconosco un talento enorme e una grandissima capacità espressiva nella direzione dei lavori. Il lavoro di regia, quello del giorno per giorno, scena per scena, l’ha sempre fatto lei” (NYC, 1991, mia intervista).

Judith Malina con Hanon Reznikov

Parlano di Judith gli oltre sessant’anni sulla scena, le centinaia di spettacoli e performances portati in tutto il mondo, l’intelligenza dei testi scelti e adattati, le note di regia, il senso del tempo e della storia che orientava scelte artistiche coerenti, rigorose e spesso dolorose, l’incorruttibile visione pacifista e anarchica e la difesa strenua della vita e della natura. E, ancora, l’energia profusa nei film interpretati, i suoi “Poems of a wandering Jewess” e la corposa serie di quadernini di broccato cinese su cui annotava pensieri e idee e in cui disegnava le scene degli spettacoli.
Per tutta la vita ha onorato la lezione del suo maestro, Erwin Piscator, per un teatro autorevole, influente, politico come migliorativo e rivoluzionario, ed ha saputo interpretare e far vivere con intelligenza e visione i testi e le ispirazioni dei più grandi autori del passato e della contemporaneità, in una dimensione di totalità, impegno, onestà e autenticità. Fino all’ultimo istante di vita ha nutrito la sua visione di un teatro di cambiamento e quando la morte l’ha colta, quasi ottantanovenne, alla Lillian Booth Home, nel New Jersey, era intenta a scrivere uno spettacolo sul ruolo che possono giocare gli anziani nella società attuale.

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