Scale come ponti tra terra e cielo. L’eredità di Raùl Rodriguez nel cuore degli amici artisti

Raùl Rodriguez (Ph. R. Rodriguez, fb)

Negli ultimi anni ne aveva allestite tante, Raùl Rodriguez, di scale, con materiali diversi e all’apparenza, talvolta, giocose, ma capaci, tutte, di suscitare profonde riflessioni e di evocare qualcosa di essenziale e perdurante.

Raul Rodriguez, “Déjà vu”, Giulianova, 2021

Una l’abbiamo ammirata a luglio in uno stretto vicolo di Giulianova, durante il festival “Approdo”. Si allungava verso l’alto suggerendo come una rotta di migrazione su un deserto popolato da una moltitudine di piccoli uomini, dal titolo “Dèjà vu”. Da essa si dipartivano corde su cui si stagliavano altre sagome umane multicolori, in equilibrio precario su fili tesi sul vuoto, a suggerire nuove diaspore e forse nuove tragedie: già viste, appunto.

Un’altra l’aveva allestita appena un anno fa nel centro storico dell’Aquila, la città che l’aveva accolto da ragazzo, esule dall’Argentina, e dove aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti, ambiente nel quale ha lungamente militato, occupandosi anche di scenografia e collaborando con diverse realtà cittadine. “Il titolo dell’opera era “Absentia” e consisteva di una scala di juta intorno a cui si attorcigliava una lunga radice; elemento, questo delle radici, che, anche per la sua vicenda esistenziale, ha posto spesso all’artista un’urgenza di riflessione.

R. Rodriguez, “Pachamama”, 2021 (Ph. S. Nannicola)

L’ultima scala, ai primi di agosto, l’aveva allestita a Fossa, all’interno della manifestazione “Seminiamo Arte”, organizzata dalla direttrice del MuBAq, Lea Contestabile, e dal critico d’arte Antonio Gasbarrini. E proprio durante questo avvincente work in progress che per alcuni giorni ha immerso una gioiosa e partecipe comunità di artisti e cittadini in una eccezionale concentrazione di esperienze d’arte, per una inconcepibile coincidenza, l’artista, così uso a padroneggiare le altezze, è morto cadendo da una scala, mentre era intento a curare gli alberi del suo giardino.

In occasione della chiusura della mostra, i suoi compagni d’arte e di vita si sono raccolti intorno alla sua installazione per celebrarne la memoria e mitigare il dolore per la perdita di una persona amata e per bene, di un artista sensibile e da sempre impegnato sui temi urgenti del nostro tempo, come il grido costante di una natura avvertita come sacra e madre.

Lo hanno ricordato in molti in queste giornate. Tra questi, sono state toccanti le parole di Silvia Di Gregorio (Libera Pupazzeria) che con Raul Rodriguez ha intensamente collaborato, e che, descrivendo un suo intervento a Roio Piano (AQ), ha mostrato un filmato di Francesco Paolucci in cui Raul compie i gesti rituali dell’offerta alla Pacha Mama, mito fondante della sua cultura originaria.

Scrive Silvia Di Gregorio: “Col tuo lavoro di poche settimane fa a Roio, quell’infinito costruito con una rete di corda, proteso tra cielo e terra, come un tunnel, un cammino…costruito con diversi giorni di lavoro facendoti spazio tra i rovi e la vegetazione che si riprendono qui quel che resta delle case, quel lavoro, dicevo, lo concludesti facendoci emozionare tutti, evocando il rito del Ringraziamento alla Pachamama. (…) Modesto, attento, silenzioso, umile, sensibile, ironico… Dalla prima opera che ho visto di te ho capito subito di essere di fronte a un artista autentico, diverso da tutti: il tuo linguaggio era l’arte e l’hai percorsa fino in fondo. Le tue opere sempre delicate, vibranti e potenti nei loro significati parlavano da sé, integralmente. L’umiltà con le quali le materializzavi era il sintomo più vero dell’autenticità della tua ispirazione e della forza del tuo sguardo”.

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