Natura e Sacro, suggestioni intorno al culto della Madonna dell’Alno

Tra le molteplici espressioni di una ricca cultura materiale, che trova nel ricamo e nelle tipicità gastronomiche d’eccellenza alcune delle sue più note consuetudini, nel mese di maggio la comunità di Canzano (TE) ricorda ed attualizza il privilegio d’esser stata teatro di apparizioni ed altre manifestazioni mariane tra il XV e il XVIII secolo. E’ quasi una piccola “perdonanza” quella che vi si celebra annualmente, nei giorni 18, 19 e 20 maggio, nella località campestre del “Perdono”.  Da questo luogo ameno, immerso nel verde di pioppi poderosi, emana ancora oggi la suggestione di un legame arcaico tra natura e sacro e riecheggia la memoria di eventi soprannaturali che consegnarono agli animali la facoltà di mediare tra il cielo e gli uomini e agli alberi quella di curare e guarire.

Si tratta di un culto identitario e fondante della comunità canzanese, che ne tramanda la memoria dal 1480, anno in cui la Vergine apparve tra le fronde di un pioppo, localmente detto “alno” – di qui il nome “Madonna dell’Alno”- ad un contadino che era intento ad arare il terreno con i buoi.

Ella chiese di essere onorata con la costruzione di una chiesa nel Piano del Castellano, appena fuori le mura del borgo, la quale, dapprima eretta come oratorio, subì nei secoli diverse opere di ampliamento, divenendo, a tutt’oggi, il tratto architettonico più qualificante del paese che, infatti, da ovunque lo si guardi, sembra esprimere nell’altezza del campanile svettante un anelito verso l’alto, quasi un’aspirazione al cielo.

La piccola chiesa del Perdono venne edificata in luogo dell’albero sul quale la Vergine si era manifestata al contadino, mentre in corrispondenza delle due successive manifestazioni al suolo, insistono ancora delle edicole, dette “cunette”, più volte ricostruite nei secoli a causa dei continui smottamenti del terreno, e dalle effigi storiche malauguratamente sottratte, così come il quadro originale situato sull’altare della chiesetta e sostituito da una copia.

Anche le cunette, lungo l’erta salita, paiono indicare un preciso orientamento verso il paese che le sovrasta e che da questo versante, circondato da boschi e campi coltivati, mostra una delle sue vedute più suggestive ed appare davvero tutto raccolto nell’abbraccio del suo santuario.

Edicole del Perdono

“Un anno di calamità e di tante fosche previsioni”, così, secondo la trascrizione degli eventi, era quel 1480, tanto simile a questo nostro tempo in cui,  per i fedeli, la Madonna dell’Alno ha elargito più di sempre i doni promessi, in termini di coesione, speranza, solidarietà. Lo aveva annunciato il nuovo parroco, Don Victor Zevallos, nel suo messaggio pasquale: “Una donna al terzo giorno genera la speranza viva. Canzano conosce bene il terzo giorno…sarà la nostra Madre dell’Alno a benedire con il suo figlio tutta la nostra famiglia parrocchiale”, e così è stato. Il 20 maggio, giorno conclusivo della festa mariana, nella piazza antistante il santuario, una celebrazione eucaristica all’aperto ha riunito la comunità e la ricorrenza ha tratto da ciò un’atmosfera speciale. Inoltre, in sostituzione della tradizionale processione lungo impervie vie di campagna, fino a raggiungere la chiesa grande, un corteo d’automobili ha condotto il piccolo simulacro, che rappresenta verosimilmente la scena dell’apparizione, per le vie del paese e delle numerose frazioni, quasi a tracciare un perimetro d’appartenenza, a rinnovare simbolicamente l’incontro con il territorio.

La statua della Vergine, una piccola statua in legno del genere delle madonne “vestite”, molto diffuse nell’area teramana, è ubicata nel Santuario di Maria Ss. dell’Alno e solo nei tre giorni della commemorazione fa ritorno al “Perdono”, nella chiesetta rurale circondata da pioppi e contornata da una natura rigogliosa e ben conservata. Qui viene fatta intensamente oggetto di visite, preghiere e veglie per tre giorni. Per tutto il mese, infine, il cuore della comunità parrocchiale si sposta al Perdono, dove hanno luogo le recite del Rosario e le Messe, quest’anno offerte all’aperto, grazie al generoso impegno del parroco e dei molti volontari.

Tra i due poli, urbano e rurale, come nota lo studioso teramano Gianfranco Spitilli, si sono scanditi  nei secoli i ritmi della devozione e dell’attaccamento della popolazione di Canzano alla Madonna dell’Alno, l’uno come sede parrocchiale stabile, l’altro come genius loci, che nel mese di maggio introduce a una dimensione rara e raccolta, a un tempo della spiritualità e della riconciliazione mediato dalle cure delle famiglie del Perdono e della Deputazione Maria Ss. dell’Alno, cui afferiscono tradizionalmente persone di buona volontà, onorabilità ed onestà che si incaricano dell’organizzazione dei festeggiamenti e della cura dei preziosi ex – voto, come delle economie legate alla ricorrenza.

Nel santuario, situato all’ingresso del paese, un’epigrafe sul portale in pietra informa che la chiesa fu edificata nel 1592 dalla Congregazione del Rosario, anche se l’ultimo rifacimento è datato 1810. Sull’altare un pregevole bassorilievo ritrae la scena dell’apparizione, con l’effige dorata della Madonna circondata dalle fronde e da figure angeliche. All’ingresso, su di un’acquasantiera risalente al XVII secolo, si trova, incastonata nel muro, la Croce delle Indulgenze concessa da Papa Leone XIII nel 1901.

Racconti, studi e documenti storici. Accanto alla memoria orale tramandata a tutt’oggi dai cittadini di Canzano, dei miracoli del “Perdono” e delle pratiche religiose e civili che in passato si legavano alla festività e che scandivano la vita del paese e i ritmi dell’annata agraria, si è prodotta, in epoca recente, una significativa documentazione scientifica, tesa a leggere il culto in relazione al territorio e all’evoluzione della società civile. L’antropologo Spitilli, prima citato, nel suo lavoro “La Vergine, l’albero, gli animali. Studio di un culto rurale dell’Italia centrale”[1], ha raccolto e confrontato le fonti documentali rinvenute in diversi archivi storici, coniugando l’esplorazione etnografica della devozione odierna con la ricostruzione dell’attecchimento di questa e della sua diffusione, tramite la localizzazione dei centri di culto e l’osservazione delle forme assunte dalle pratiche religiose nel contesto contemporaneo, “Provando  – come scrive – a tratteggiarne le corrispondenze con la leggenda agiografica, le strutture sociali e le tensioni che le hanno attraversate nel corso dei secoli”.

Parte della ricerca di Spitilli è confluita nel progetto europeo “Rete Tramontana”, che ha collegato i patrimoni culturali rurali di sei diverse nazioni e che è stato attuato in Italia dall’Associazione Bambun di cui lo stesso Spitilli è responsabile. Nell’ambito del progetto, recentemente premiato con uno dei ventuno prestigiosi European Heritage Awards – Europa Nostra Award 2020, nella categoria “Ricerca”, sono stati coinvolti e intervistati, tra gli altri, diversi cittadini di Canzano detentori di memorie e testimonianze relative al culto.

Altri contributi per la conoscenza della Madonna dell’Alno nel contesto della storia e della cultura locale si trovano nel volumetto “Canzano, storia – folclore – turismo” (1979) del passionista Giulio Di Nicola, e diffusamente nell’opera dello storico teramano Nicola Palma. Anche la studiosa Rita Salvatore ha approfondito il tema nel suo volume “Sante Marie degli alberi. Culti mariani arborei in Abruzzo” (Andromeda Editrice, Colledara, 2002), ascrivendo l’apparizione alla specie arborea del pioppo bianco (Populus alba), abbondante, peraltro, ancora oggi nell’area del Perdono, secondo una scelta accredita anche dall’etnobotanico Aurelio Manzi, nel suo volume “Piante sacre e magiche d’Abruzzo” (Collana “Le Orme” del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Carabba, Lanciano 2003).

Nel 2016, infine, è stato dato alle stampe il volumetto “La Madonna dell’Alno di Canzano nel documento del 1786” (Giservice Teramo), a cura di Maria Grilli e Luigia Ricci Rozzi, che restituisce una serie di documenti storici rinvenuti negli archivi teramani e comprovanti l’attenzione e l’avvaloramento degli eventi miracolosi da parte delle autorità ecclesiastiche e civili dell’epoca,  oltre a una Cantica per la Vergine dell’Alno, composta dal giurista Nicola Taraschi a Napoli nel 1880.

Il racconto dell’apparizione nei testi conservati.

L’apparizione di Maria Ss. dell’Alno avvenne in un anno di tante calamità e di tante fosche previsioni per il futuro ad un contadino di Canzano, Floro di Giovanni. Era il 18 maggio 1480, allorché, mentre arava il proprio campo, poco sotto il castello del paese a sud-ovest, verso le ore 18, corrispondente a mezzogiorno, secondo l’orario del tempo, vide ad un tratto i buoi, che tiravano l’aratro, arrestarsi improvvisamente e restare immobili, sebbene i suoi incitamenti. Anzi, poco dopo i due animali si posero in ginocchio. Floro si meravigliò dell’avvenimento e drizzandosi dalla curva piegatura dell’aratro, osservò sopra un albero di pioppo bianco, che volgarmente si dice Alno o Alano, una maestosa Signora al cui cospetto anch’egli si prostrò.

La Signora gli disse: “Io sono la Regina del Cielo: va in Canzano, e dì a quel popolo esser mia volontà che si edifichi una Chiesa in mio onore nel Piano del Castellano”. Il buon Floro, sull’istante ubbidì e, lasciato i buoi, corse subito a Canzano a raccontare la visione, ma lungi dall’essere creduto, anche dal Consiglio dei Reggenti dell’Università che era riunito, fu deriso e beffato, per cui, mesto se ne tornò al lavoro.

Il giorno seguente, alla medesima ora, mentre arava lo stesso terreno, comparve a Floro per la seconda volta la Vergine, vestita di bianco e posata sul suolo. Immantinente prostratosi, seguito dai buoi, con rispetto e dolore, Le riferì il rifiuto dei Canzanesi. La Vergine non fece alcun commento e disparve. Il 20 maggio, quando alla stessa ora la Vergine gli apparve per la terza volta, come nei giorni precedenti, gli comandò di rientrare in Canzano e ripetere a tutti la Sua volontà. Se i cittadini non avessero ancora creduto all’apparizione della Vergine, avrebbe dovuto chiedere alla famiglia Falamesca de Montibus di montare il cavallo indomito, che essa possedeva ed era il terrore di tutti, perché avrebbe indicato il sito e le dimensioni della chiesa da Lei voluta. Florio, lieto ritornò in paese, raccontò la visione e l’ordine ricevuto dalla celeste Signora e si dichiarò pronto a verificarlo nel modo indicatogli. Non fu ancora creduto, ma alla proposta di montare il suddetto cavallo indomito, accettarono con beffe e burla, sicuri della fine miserevole dell’imprudente Floro .

Il signor Falamesca de Montibus condiscese con pena all’esperimento, cui Floro si accingeva, né lasciò di protestare che non avrebbe risposto del pericolo. Temevano i numerosi astanti che all’entrar Floro nella stalla, il cavallo, così feroce, volto gli si sarebbe con morsi e calci: ma quale non fu la loro meraviglia allorché lo videro affatto mansueto lasciarsi menar fuori e, senza muoversi, accogliere sul dorso il rustico cavaliere?

Abbandonato al proprio istinto esso lo trasportò nel Piano del Castellano. Ivi giunto il cavallo, senza freno e senza guida, girò tre volte intorno ad uno spazio, ed infine si inginocchiò e curvò la testa fino a terra. La folla che lo aveva seguito in silenzio, proruppe in grida di gioia e decise di costruirvi la Chiesa secondo quanto aveva designato il cavallo con i suoi tre giri.

Chiesa Maria SS. dell’Alno. Ph. Paesi Teramani

Luci, suoni, resina odorosa: i miracoli nei secoli a seguire. Nel giugno del 1614, essendo pio costume dei canzanesi visitare la Madonna, di sera molti sostavano in preghiera. Ardevano cinque lampade davanti la sacra immagine; d’un tratto tutti videro sul petto dell’immagine santa comparire una stella grande come un granello di lenticchie, il cui splendore illuminò la chiesa; dopo che un chierico ebbe cantato le litanie, la luce in mezz’ora circa, affievolendosi mano a mano scomparve.

Anche nel XVIII secolo, come testimoniato dalla duplice relazione del pievano e del sindaco dell’epoca in un documento conservato all’Archivio Diocesano di Teramo e riportato da Gianfranco Spitilli, si narra che al termine dei lavori di ampliamento del Santuario si verificò una manifestazione uditiva soprannaturale. “Si udì suonare da sé l’organo con stupore di quanti entravano a far orazione…ad altri parendo il sussurro di uno sciame d’api, ad altri il suono di una sola canna dell’organo che si accordasse ..o, ai più devoti, un’armonia come d’uno esperto Maestro di Cappella”. Nel medesimo tempo…presso la contrada del Perdono, da un albero grande e maestoso cresciuto al posto dell’albero dell’Apparizione, cominciò a sgorgare un oglio resinoso odorifero”.

Nel documento sono descritte le guarigioni ottenute grazie alla resina che veniva raccolta in caraffe per curare i mali dei devoti che giungevano dall’intero Abruzzo. Spitilli, nel suo saggio, ha ricostruito i fatti, registrando, infine, una “progressiva decadenza del culto e dell’articolazione cerimoniale, sancita da una manifestazione che – scrive – sembra appartenere all’ordine del diabolico: presso il pioppo miracoloso furono condotti dei cani ‘cattivi’, ‘che mordevano’, per ungerli con l’olio resinoso e guarirli così dalla rabbia. Da quella volta ‘la Madonna ha finito di fare i miracoli – scrive Spitilli, citando il suo informatore locale Benito Marsilii – per quanto è stata disprezzata’”.

Arte, cultura e pratiche liberali. Nella liberalità del ricamo, ad ago su tessuto, si esprime tradizionalmente l’attitudine della comunità femminile di Canzano al bello, pratica mantenuta in stretta relazione con la devozione e le feste dedicate alla Madonna,  come accadeva diffusamente fino agli anni ’70 del secolo scorso in molti paesi del centro Italia. Qui anche il ricamo è un patrimonio identitario, condiviso da generazioni di fanciulle fin dalla fine dell’Ottocento, quando venne istituita una scuola femminile gestita prima dalle suore dell’ordine di Sant’Anna e poi da quelle della Divina Provvidenza, in cui si insegnava a ricamare. Nel 1958 la maestra della scuola post elementare, Editta Serpente, ottenne di inserire il ricamo nel programma curricolare e, quando la scuola fu soppressa, le lezioni continuarono nella sua abitazione; fino al 1989, quando nacque l’associazione “Ars et Labor”, tutt’ora operante e con una sua sede nel comunale palazzo De Berardinis. La stessa Editta Serpente, in altro contesto, ha riferito della centralità di Canzano nella bachicoltura e nella produzione estensiva della seta che fu caposaldo dell’economia locale nel XIX secolo, accanto alla produzione familiare del lino e della canapa. Saggi della maestria raggiunta dalle ricamatrici si sono rivelati anche nell’offerta e nella cura di ornamenti rituali ed alcune realizzazioni, tra le più pregiate ed antiche, sono state inserite nella mostra “Canzano si racconta” allestita nel 2017 al Museo dei Saperi Familiari.

Molte sono, inoltre, le tracce tangibili della devozione mariana in questi territori, punteggiati da una fitta rete di edicole e piccole cappelle rurali che si susseguono nelle campagne, a partire dalla frazione di Santa Maria fino a raggiungere Canzano e il Perdono. Il Passionista Di Nicola, citando il Palma, parla della Chiesa di Santa Maria a Ripabianca, pur non riuscendo a identificarne precisamente l’ubicazione. Quel che è certo è che il risveglio della fede e l’emozione che le apparizioni generarono dovettero destare nella società contadina il desiderio di testimoniare intensamente, tramite dei manufatti votivi, la riconoscenza e la gratitudine alla Vergine che aveva voluto privilegiare il suo povero mondo rurale.

Opera “Il perdono” di G. Spitilli, S. Saverioni

Un’efficace installazione multimediale dal titolo “Il Perdono” è stata realizzata da Gianfranco Spitilli e Stefano Saverioni, con la composizione sonora di Stefano Dante, in occasione delle Giornate di Primavera del FAI  nel 2017, al Museo dei Saperi Familiari. In questo caso un racconto a più voci dei miracoli della Madonna dell’Alno è stato inserito in un progetto multisensoriale in cui l’ambiente sonoro si è ispirato ai fenomeni acustici prodigiosi riferiti dalle testimonianze, mentre la componente visiva ha riprodotto la corteccia di un pioppo su cui scorrono rivoli di resina dorata, sì da oggettivare filologicamente l’esperienza del miracolo, così come riportato dalle fonti.

Si percepisce, in sintesi, intorno al culto e alla memoria degli eventi che lo hanno consolidato nei secoli, un intreccio di valori antropologici e di matrici identitarie: storie, racconti, emozioni che non smettono di suscitare suggestione e fascinazione, rinnovando nella relazione con la natura la dimensione del sacro e nell’attualità del messaggio del perdono una straordinaria opportunità di memoria, valorizzazione e condivisione.

 

[1] In Fiorella Giacalone (a cura di), “Pellegrinaggi e itinerari turistico-religiosi tra identità locali e dinamiche transnazionali: prospettive europee”, Morlacchi Editore, Perugia 2015.

 

 

Facebooktwittergoogle_plus

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.