Le innovazioni di Arienti e le trame dell’arazzo contemporaneo a Castelbasso Cultura 2019

C’è un Abruzzo che inorgoglisce ed emoziona nella più recente proposta della Fondazione Malvina Menegaz  per Castelbasso Cultura 2019, un intreccio di identità, valori ambientali e culturali, prestigio di saperi da valorizzare e tutelare.

Stefano Arienti e Simone Ciglia (Ph. Paolo Di Vincenzo)

La grande mostra “Sul filo dell’immagine. Trame dell’arazzo contemporaneo”, a cura del giovane critico d’arte pescarese Simone Ciglia, ha costruito un itinerario di conoscenza, e di stupore, tra la viva contemporaneità dei lavori dell’artista Stefano Arienti e un’esemplare esposizione di pezzi d’arte tessile, che testimoniano, da un lato l’interesse senza tempo per questa affascinante pratica artistica, e dall’altro la centralità storica di una gloriosa realtà manifatturiera autenticamente abruzzese, l’Arazzeria Pennese, con il suo viatico di eccezionali e durature relazioni con artisti influenti del XX secolo e d’oggi.

Stefano Arienti, Retina, Castelbasso 2019. Ph. P. Di Vincenzo

Il percorso è iniziato, nelle sale al piano terra del restaurato Palazzo De Sanctis, con l’opera inedita “Retina” di Arienti, che consta di un trittico di arazzi bicromi, realizzati appunto dall’Arazzeria Pennese, innovando e spingendo avanti la tecnica di realizzazione del basso liccio al telaio meccanico, a partire da tre scatti fotografici dello stesso artista. Il primo, raccolto al Museo Dar Batha di Fes, in Marocco, restituisce l’immagine di un uscio semi aperto che nella continuità tra il fuori e dentro fa risaltare le affascinanti geometrie di antiche pavimentazioni; le altre due immagini arrivano dall’Abruzzo montano e consistono rispettivamente dell’interno di una camera dell’albergo diffuso Sexantio di Santo Stefano di Sessanio, con in primo piano le simmetrie del decoro tipico di una tradizionale coperta abruzzese,  e quindi di una veduta di Campo Imperatore, con sullo sfondo le dolci forme del “piccolo Tibet” e, in primo piano, la ghiaia e le pietre sospinte a valle dall’erosione e dallo scioglimento delle nevi.

Per essere riprodotte fedelmente sulla carta e nello schema adatto alla tessitura, le immagini sono state sottoposte al procedimento grafico della retinatura, da cui il titolo della mostra, “Retina”, che curiosamente, allo stesso tempo, è anche una parola contenuta nel nome dell’artista. Gli arazzi in seta, rispettivamente prodotti nelle tonalità giallo/nero, rosa/nero e bianco/nero, sono stati realizzati, grazie a un finanziamento dell’Italian Council, tra il 2018 e il 2019,  nei laboratori dell’Arazzeria Pennese, che oggi ha sede nella Riserva Naturale regionale Lago di Penne, ambiente intatto e magico, consono ad assecondare la creatività degli artisti, i quali collaborano con le tessitrici sia nella fase di realizzazione del cartone, sia nella scelta cromatica dei filati che formeranno le trame dell’arazzo. Arienti, peraltro, ha tenuto a farci conoscere il processo di esecuzione, collocando nel retro di un’opera i relitti delle successive fasi di sperimentazione e le prove che hanno portato al risultato finale.

Oltre la compiutezza formale che restituisce con dovizia ogni dettaglio dell’immagine fotografica, i tre arazzi, destinati a far parte della collezione permanente del MAXXI, suggeriscono un percorso, tra fuori e dentro, come si diceva, e ambiente naturale e costruito, concedendo, tuttavia, allo sguardo e alla sensibilità dello spettatore la libertà di intrecciare propri fili di senso e suggestioni. Come non legare, ad esempio, i pascoli di Campo Imperatore alla produzione delle lane che fecero la fortuna dei borghi fortificati, edificati, come Santo Stefano, con le bianche pietre carsiche del Gran Sasso e, ancora, alla tessitura delle tradizionali coperte abruzzesi, oggi riscoperte e rilanciate nella loro sostenibilità ambientale e culturale?

Afro, Senza titolo, 1970. Ph. Arti al Vivo

Ai piani superiori del palazzo è stata esposta una raccolta entusiasmante di arazzi, molti dei quali generati ancora nell’Arazzeria Pennese ed accompagnati da testi evocativi o esplicativi, illuminanti di come l’espressione artistica sia stata indagata e prediletta da tanti artisti, ora per la potenza dei contrasti di colore che l’avvicina alla pittura, ora per l’essere, gli arazzi, dei “murales dei giorni nostri”, come li definì Le Corbusier, alludendo alla loro possibilità d’essere trasportati ed apposti; ora, come nel caso di Arienti, per la possibilità di farsi “atto oggettuale di immagini” o, sempre più, terreno di sperimentazione, grazie alle innovazioni consentite dal telaio meccanico, che offre la chance di indagare dimensioni spaziali e materiche innovative e finanche l’inserimento, come nella  “Natura artificiale” di Ugo La Pietra,  di fibre derivanti da materiali plastici e di riciclo.

Andrea Mastrovito, “Senza titolo” 2017 (Omaggio a Camus, L’Etranger), ph. Arti al Vivo

Confutando, nonostante la seducente bellezza delle opere d’arte tessili,  l’idea di una dimensione puramente decorativa dell’arazzo, da considerare, a tutti gli effetti, una declinazione semantica del progetto pittorico, concettuale o fotografico dell’artista, l’esposizione di Castelbasso ha offerto l’opportunità preziosa di fare esperienza di un significativo nucleo storico di lavori risalenti agli anni Settanta ed esemplificativi delle poetiche di artisti quali Giacomo Balla, Giuseppe Capogrossi, Afro, Mauro Reggiani, affiancati da un caleidoscopico insieme di opere più recenti, che arrivano fino ai giorni nostri, di Enzo Cucchi, con le sue visionarie incursioni nel mito, Andrea Mastrovito,  di cui è presente un arazzo ispirato a “Lo Straniero” di Camus”,  Costas Varotsos, che ha ricercato nell’arazzo le trasparenze del vetro, Alberto Di Fabio con le sue traiettorie di luce ed energia, Giuseppe Stampone con un’opera della serie di impegno sul tema dell’abbecedario e, ancora, realizzazioni di Antonio Paradiso sul tema personale de “Il volo”, Piero D’Orazio, con le sue geometrie di colori e Matteo Nasini con l’affascinante “Cascata”.

Alberto Di Fabio, Energie. Ph. Arti al Vivo

Val la pena, senz’altro, avvalorare, accanto alla prestigiosa tradizione dell’Atelier d’Arte Tessile Elio Palmisano, dal quale arrivano alcuni arazzi, la rinascita dell’Arazzeria Pennese all’interno dell’Oasi WWF Riserva Naturale regionale Lago di Penne, una ripartenza avviata nel 2014, grazie all’impegno del direttore della riserva,  Fernando Di Fabrizio che, in collaborazione con la nota azienda Brioni di Penne, la Fondazione Penne Musei e Archivi e le cooperative Cogecstre e Alisei, sotto la direzione di Laura Cutilli e con due delle più giovani tessitrici dell’Arazzeria storica, Erminia Di Teodoro e Lolita Vellante, ha restituito continuità all’unica arazzeria italiana specializzata nella tecnica del basso liccio, praticata tramite una particolare tipologia di telaio che permette l’inserimento manuale di fili di trama nell’ordito.

Laboratorio Arazzeria Pennese, Ph. Cogecstre

La straordinaria esperienza dell’Arazzeria Pennese, nata nel 1964 ed attiva nella prima fase fino al 1998, fu una propaggine illuminata e proficua dell’Istituto d’arte “Mario dei Fiori” , che potè realizzarsi per volontà di due lungimiranti docenti, Fernando di Nicola e Nicola Tonelli. Un’intensa collaborazione con il pittore Enrico Accatino facilitò i rapporti con il mondo dell’arte accrescendo la fama dell’arazzeria che divenne ben presto crocevia di passaggi straordinari. Fu lo stesso Accatino a promuovere alla metà degli anni Sessanta la cosiddetta “Fiber art”,  proponendo un vero e proprio manifesto dell’arte tessile che all’epoca era materia di insegnamento negli Istituti d’arte. E proprio dalla sezione di Tessitura dell’Istituto d’arte provenivano le tessitrici, scelte fra le migliori diplomate, che lavoravano in coppia sui telai.

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